Endocrino-Immunologia

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Tutte le strade portano al piacere -repubblica salute giugno 2008-


TUTTE (O QUASI) LE STRADE PORTANO AL PIACERE

Non c’è nulla di più definibile, e allo stesso d’inafferrabile come concetto, del piacere. Riconoscerlo è facile: è una sensazione vivificante, elettrizzante – potente –, capace di legare mente e corpo in una sorta di danza liberatoria. È un’euforia, spesso tanto fulminea quanto potente, che muove gran parte dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Addirittura, sembra che anche la fiducia, sentimento nobile quanto, apparentemente, disinteressato e scevro da condizionamenti, per così dire, “trasversali”, sembra essere in forte relazione con il piacere. Secondo uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della University of California, pubblicato sulla rivista Annals of Neurology, il piacere e la percezione di una verità attiverebbero la stessa area del cervello: quella ventromediale della corteccia prefrontale. In sostanza, il cervello codificherebbe come vera un’informazione, dunque meritevole di fiducia, se la sensazione che il corpo ne ha avuto, attraverso i cinque sensi, è una sensazione positiva. Come dire: si crede in qualcosa solo se la stessa è in grado di dare piacere. Ma qual è la genesi del piacere? «È ai miliardi di cellule della corteccia cerebrale che si devono le sensazioni piacevoli. Ad attivarle sono le informazioni provenienti dai sensi, oppure le emozioni. Così, quando si ascolta una particolare musica o si assaporano i cibi preferiti, dalle orecchie o dal palato partono gli impulsi piacevoli che arrivano alla corteccia cerebrale», spiega il professor Alberto Oliverio, docente di psicobiologia all’Università Sapienza di Roma. Che prosegue: «Da qui, questi “messaggi” gradevoli sono inviati al sistema limbico e all'ippocampo che, a loro volta, stimolano la produzione di sostanze diverse, di ormoni come le endorfine, adrenalina, testosterone, che apportano uno stato di eccitazione definito, convenzionalmente, piacere».

Piaceri versatili

Le vie del piacere? Sono tante, anzi tantissime. Ci sono i piaceri sensoriali, più o meno “sottili”, stimolati, per esempio, dall’arte, che sia culinaria, musicale, visiva. A proposito di quest’ultima: una ricerca svolta qualche tempo fa da alcuni scienziati dell’Università di Ann Arbor, nel Michigan, ha scoperto che la visione di un film, oltre a scatenare pulsioni e creare stimoli, muta i livelli di diversi neurotrasmettitori, inclusi serotonina (calmante) e noradrenalina (euforizzante e allertante), agendo così sia a livello psicologico che fisiologico. Ci sono piaceri, più scontati e assolutamente potenti, scatenati da sentimenti/emozioni canonici quali innamoramento, amore, sesso, nei quali, più o meno direttamente o indirettamente, sono attivatati neurotrasmettitori e ormoni che regalano euforia, benessere, rilassamento (tutti “parenti stretti” del piacere). Sostanze che sono prodotte dall’organismo in situazioni molto diverse, tuttavia accomunate dal piacere (e da canali sensoriali attivati). Un esempio su tutti? «L’ossitocina l'ormone che provoca l'eccitazione sessuale dei genitali femminili e l'erezione maschile, che dà senso di appagamento e relax: la sua produzione è stimolata dalle carezze, sia che queste derivino da un gesto affettivo, oppure finalizzato all’attività sessuale, ma anche, più semplicemente, da un massaggio eseguito ad arte con finalità estetiche», osserva Ascanio Polimeni, esperto di psiconeuroendocrinoimmunologia, membro dell'I.H.S., International Hormone Society e della world society of antiaging medicine (W.O.S.A.AM.). Il piacere può arrivare, indirettamente o direttamente, anche dalla pratica di tecniche psicocorporee, come yoga, training autogeno, meditazione che, contribuendo, tra l’altro, a diminuire la produzione di cortisolo, altrimenti detto “ormone dello stress”, aprono la strada ad endorfine ed altre molecole del benessere.

Tra jogging, vendette e “bugie vitali”

È noto da tempo: l’attività fisica ha un effetto euforizzante. Addirittura, alcuni scienziati hanno azzardato qualche accostamento ardito. Qualche tempo fa, ricercatori del Georgia Institute of Thecnology e dell’Università della California Irvine hanno ipotizzato che fare jogging metta in circolo alcune sostanze simili ai principi psicoattivi di alcune droghe, che agiscono a livello cerebrale innescando la sensazione di soddisfazione ed euforia. Tutto come conseguenza di un effetto “riparatore” che il corpo mette in atto per proteggersi dal dolore e per sopportare meglio lo sforzo muscolare durante l’attività. Ma quello dello jogging (e dell’attività sportiva in genere) non è l’unica attività che, a sorpresa, stimola la produzione di molecole del piacere – o del benessere -. C’è chi sostiene che altre inclinazioni non proprio politically correct abbiano virtù terapeutiche. La vendetta, per esempio: lo psichiatra Dominique de Quervain, Università di Zurigo, qualche tempo fa ha scientificamente dimostrato che attiva i centri nervosi del piacere e regala lo stesso benessere psicofisico di quando si vince un premio o si mangia cioccolato. Gratificanti (e utili, nell’immediato, per lo stesso equilibrio psicofisico) sono anche le “bugie vitali”, così come definite da Daniel Goleman, teorico della Psicologia Positiva. Parliamo delle bugie che, inconsapevolmente, ci raccontiamo quando non possiamo razionalmente accettare una verità, un dato di fatto troppo doloroso. «Queste bugie sono una sorta di “anestesia” per la psiche e, con un effetto fisiologico ben preciso, stimolano nell’immediato la liberazione di endorfine che, inducendo un senso di euforia, attutiscono la percezione del dolore. In pratica, sono difese messe in atto dalla mente per meglio “metabolizzare” un duro impatto», dice Oliverio. Bugie vitali a parte, diverse ricerche hanno scoperto che i centri cerebrali del benessere possono accendersi anche in dipendenza di altre emozioni o stimoli particolari.

L’aggressività: eccitante come il sesso?

Che una sana dose di aggressività produca, nell’immediato, un senso di benessere è cosa che tutti, con maggiore o minore frequenza a seconda dell’indole, abbiamo prima o poi sperimentato. Di certo, far valere, con i dovuti limiti e criteri di buon senso, le proprie giuste ragioni, ribellarsi ad un torto subito, è sicuramente più salutare che inibire rabbia e covare rancore (anche per i noti risvolti psicosomatici, leggasi disturbi come gastriti, mal di testa & C.). E, anche nell’immediato, dopo lo sfogo è facile percepire un senso di benessere, di appagamento. «Merito delle sostanze che il corpo secerne sotto l’influsso di un’emozione tanto dirompente, quanto vitale, come la rabbia: adrenalina E NORADRENALINA fa notare lo psiconeuroendocrinologo Ascanio Polimeni. Tra l’altro, una ricerca condotta alla Vanderbilt University di Nashville, nel Tennessee, e pubblicata sulla rivista Psychopharmacology, ha dimostrato che sfogare l’aggressività produce un piacere assimilabile a quello del buon cibo, del sesso o delle droghe. Tutte queste attività, infatti, si tradurrebbero in stimoli neurochimici che passano per lo stesso circuito. Al negativo, lo studio ha anche dimostrato che l'aggressività e, peggio, la violenza possono provocare dipendenza, proprio come tutti gli altri piaceri, soprattutto quando per ragioni diverse esiste la difficoltà a mediare gli stimoli esterni. Circostanza che in qualche misura si è visto essere collegata ad una produzione sbilancia dei neurotrasmettitori serotonina e dopamina.

Il lato nascosto (e piacevole) della “grattatina”.

Quando non è la risposta, frequente, ad un prurito insistente, che può quindi nascondere malattie dermatologiche, come micosi, eczemi, o condizioni patologiche di altra natura, una “grattatina” alla schiena, per esempio, è sicuramente gradevole, capace com’è di arrecare un immediato sollievo. Ebbene, anche questo gesto istintivo apparentemente così banale e circoscritto all’organo pelle coinvolge i circuiti del piacere. Ricercatori della Wake Forest University Baptist Medical Center (North Carolina, Usa), infatti, grazie alla risonanza magnetica funzionale hanno scoperto che questa stimolazione riduce temporaneamente la funzionalità delle cortecce cingolate anteriore e posteriore, due zone cerebrali connesse alla percezione e al ricordo di sensazioni sgradevoli. Inoltre, da questo studio pilota, effettuato su 13 soggetti sani (al quale ne seguirà uno più ampio su soggetti sofferenti di prurito intenso e/o cronico), sembra emergere che il gesto di grattarsi, oltre a disattivare queste aree del cervello, ne attivi altre, quelle associate allo stimolo tattile e ai comportamenti compulsivi, da cui originerebbe la tendenza a ripetere il gesto. Oltre a svelare ulteriormente i meccanismi cerebrali e di piacere connesse al grattarsi, secondo gli autori uno studio ulteriore potrebbe aiutare ad individuare nuovi e più efficaci trattamenti per il prurito cronico, tanto fastidioso quanto talvolta causa di lesioni anche importanti della pelle.

LA SPINOSA QUESTIONE DELLE DIPENDENZE

Il piacere va “maneggiato” con cura. Perché, così come può essere sicura fonte di benessere e di relativa capacità propositiva ad ampio spettro, può diventare controproducente, addirittura lesivo, se ricercato compulsivamente, ovvero se diventa dipendenza, non tanto da droghe, quanto psicologica, come nel caso dello shopping complusivo, del gioco d’azzardo e altro ancora. «Una delle “strade del piacere” sfrutta il neurotrasmettitore dopamina, legato al desiderio, alla sensazione di appagamento. La dopamina mantiene vigili, attenti e di buon umore e, segnalando una situazione come positiva, ne programma la ripetizione. Ripetizione che è alla base della dipendenza», spiega il professor Alberto Oliverio. Un secondo sentiero cerebrale passa, invece, per le endorfine e oppioidi endogeni come le encefaline e le dinorfine, simili dal punto di vista chimico agli oppiacei contenuti in molte droghe. Infine, entra in gioco il circuito preposto all’accensione dei desideri e all’impulso verso il loro raggiungimento, anche passando per situazioni rischiose, nel quale agiscono diversi neurotrasmettitori. Morale: piacere e dipendenza corrono lungo le stesse vie d’accesso ma, fortunatamente, solo in alcuni soggetti la ricerca del piacere porta alla dipendenza. Occorrono sia un vissuto psicologico predispondente, sia altre variabili. Tra le tante ipotesi avanzate per cercare di spiegare come mai alcuni soggetti sono più inclini di altri alla dipendenza, alcuni ricercatori hanno chiamato in causa anche delle alterazioni a carico dei neurotrasmettitori dopamina, noradrenalina, serotonina e glutammato. Più recentemente, uno studio realizzato grazie alla collaborazione della University of Pittsburgh con la Mount Sinai School of Medicine di New York e con la University of Chicago, ha dimostrato che sente l’impulso irrefrenabile e mai pago di soddisfare un desiderio o un piacere, tanto da esserne dipendente, mostra un’attività particolarmente intensa in una determinata area cerebrale, quella dello striato ventrale, che è correlata all’implusività individuale.

CLAUDIA BORTOLATO

12 Agosto 2008