CRONONUTRIZIONE - NUTRIGENOMICA

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Cos'e' il cibo nutraceutico?-REPUBBLICA SALUTE-APRILE-09-


La ricerca nell’ambito dei nutraceutici è ancora a uno stadio iniziale, ma i progressi sono molto promettenti. Così come vivacissime sono le polemiche. Le cause? Da un lato studi ancora privi di una sistematicità capace di offrire un quadro d’insieme preciso e definito, dall’altro un conflitto tra lobbies farmaceutiche intenzionate a dar battaglia per garantirsi il primato in un settore che potrebbe rappresentare un’evoluzione significativa del concetto di terapia. Fatto sta che i cosiddetti “cibi funzionali” o nutraceutici non sono ancora normati in Italia, né l’Unione Europea ha ancora legiferato in materia in modo chiaro.

Un vulnus che consente di immettere sul mercato anche prodotti assai discutibili sotto il profilo scientifico e dei benefici curativi. Risultato? Una certa diffidenza che rischia di buttare insieme all’acqua sporca anche il bambino. Il terreno, dunque, è assai scivoloso.

Ricerca agli inizi

«Si è ormai sviluppata», spiega Francesco Marotta, gastroenterologo all’Ospedale San Giuseppe di Milano e professore di Nutrigenomica al Centro di Neuroscienze e di Scienza della Salute dell’Università di Pechino, «una branca che studia gli specifici siti di azione dentro la cellula da parte dei prodotti naturali, facendo proprio riferimento alla biologia molecolare, la più rigorosa disciplina scientifica applicata in ogni studio farmacologico classico. Fermo restando l’insostituibile valore della scienza della nutrizione e della sana alimentazione, certamente la supplementazione ragionata di nutraceutici, scientificamente studiati, può contribuire a una sinergia di azione nell’ambito di trattamenti dietetici in soggetti con patologie associate o in fieri».

Senza normativa

Attualmente le malattie più allarmanti da un punto di vista sociale sono quelle cronico-degenerative. Al di là di una accresciuta longevità anagrafica, la scienza non è riuscita a raggiungere il traguardo di una apprezzabile esistenza biologica, anche per il concorrere di diversi fattori (ambientale, nutrizionale, stile di vita…).

«Oggi per raggiungere l’obiettivo», sottolinea Francesco Marotta, «possiamo puntare anche sulla genomica funzionale (branca della genetica applicata alla pratica clinica). Senza ovviamente trascurare nè l’impiego dei test biochimici, più ragionato e riparametrato secondo le più aggiornate pubblicazioni scientifiche, nè la valutazione clinica del paziente».

«La sinergia tra tutti questi strumenti di indagine», continua il professor Marotta, «ci consente di identificare precisamente quei gruppi di pazienti o di candidati cui una serie di presidii nutrizionali, stili di vita e nutraceutici specifici possano incidere positivamente sullo stato di salute futuro. L’integrazione di nutraceutici nell’ambito di alcune terapie convenzionalmente accettate già oggi apporta maggiori benefici o permette, in alcuni casi, la riduzione del dosaggio dei farmaci. Questo tuttavia è un argomento molto delicato che non può in nessun caso ammettere un selvaggio fai da te o l’improvvisazione medica».

Evitare il “fai da te”

Dell’efficacia dei nutraceutici nella prevenzione e cura delle patologie della terza età è assolutamente convinto anche Ascanio Polimeni, specialista in broncopneumologia e psiconeuroendocrinoimmunologia, membro del Comitato scientifico dell’International Hormone Society e della World Society of Antiaging Medicine, direttore del Centro dell’Invecchiamento Cellulare e della Menopausa di Roma e di Milano,del PROGETTO VENEREPERSEMPRE e di REGENERA RESEARCH GROUP «specie se “cuciti” addosso alle esigenze individuali», afferma, «definite in base ad alcuni esami convenzionali e non: analisi dello stress ossidativo, profilo degli acidi grassi, test del Dna, o sul polimorfismo genetico, profilo dei neurotrasmettitori e stress…».

Più in generale, poi, secondo Polimeni i nutriaceutici hanno la funzione di «ottimizzare o di modulare alcuni processi metabolici regolatori dell’invecchiamento, nonché di influenzare positivamente l’espressione dei geni-chiave implicati (infiammazione, metilazione, glicazione, stress ossidativi, processi di riparazione del DNA…)». In particolare, sono utili nella menopausa “se integrati ad ormoni bioidentici e fitormoni per calo della libido, insonnia, sbalzi d’umore, oltre che per rallentare osteoporosi, decadimento cognitivo, problematiche cardiovascolari…”. Ma anche nelle malattie autoimmuni, precisa il professor Marotta: «Qualche esempio? Gli omega3, alcuni isoflavoni della soia, la stessa vitamina D o lo zinco, la cartilagine di squalo, specifici probiotici “ingegnerizzati”, specifiche forme di curcumina ad alto assorbimento…».

Via libera, dunque, all’uso dei nutraceutici? Ovviamente no, afferma Polimeni: «Le controindicazioni in medicina valgono per tutti i farmaci naturali, omeopatici, allopatici e quindi anche per gli integratori. Soprattutto se impiegati in formule complesse, vanno assunti sotto controllo medico in dosi e sinergie da personalizzare in base ad opportuni esami». «Il vuoto legislativo in questa materia», aggiunge Francesco Marotta, «e le spinte commerciali sconsigliano ogni atteggiamento di autogestione. Esistono gravi effetti collaterali da parte di apparentemente innocui nutraceutici, soprattutto se associati con farmaci. In quanto alla competenza medica, ci sono certamente cultori della materia, ma manca ancora un corso di studi che specializzi in questa giovane scienza e crei dei “medici della salute”».



FRA RICERCA E MERCATO



Il termine “nutraceutico” (crasi tra nutrizione e farmaceutico) è stato coniato nel 1989 da Stephen De Felice, nutrizionista e biochimico americano, membro della Foundation for Innovation in Medicine, New Jersey, USA. Una fondazione no-profit che si è posta come obiettivo quello di studiare l’impatto dell’utilizzo di precise sostanze naturali integrate con la farmacologia classica.

Il nutraceutico è un alimento o parte di un alimento che, al di là della mera compensazione di una carenza, fornisce un beneficio medico sulla salute, inclusi la prevenzione e il trattamento di una malattia. Un assunto forte che in passato ha spiazzato la concezione della biochimica nutrizionista classica, attribuendo al nutraceutico una valenza “terapeutica”, a differenza dell’integratore alimentare. La disciplina, seppure presente in autorevoli dizionari (Oxford Webster Dictionary), soffre dell’assenza di una inequivoca normativa di riferimento. Spesso ciò determina sul mercato lo sfruttamento in termini prettamente commerciali della definizione. Allo stato attuale solo l’1-2% dei pretesi nutraceutici in commercio dispone di una ragionevole ricerca scientifica. La difficoltà di protezione della “proprietà” dei vari componenti nutraceutici sta determinando uno sviluppo non organico e condiviso della ricerca nell’ambito dell’identità biochimica e funzionale della nutraceutica. Per non parlare dei risvolti legati alla brevettabilità. A queste difficoltà non sono estranee le lobby farmaceutiche. Alcuni studi che negano il valore dei nutraceutici, ad esempio, sono viziati dall’aver messo assieme vitamine sintetiche e non, integratori alimentari e nutraceutici. Eclatante è stato il caso di un lavoro di metanalisi (analisi contemporanea di molteplici studi) le cui conclusioni portavano ad affermare addirittura che l’uso della vitamina E aumentava il rischio di cancro e che ha scatenato una valanga di proteste nel mondo scientifico. Lo studio e la ricerca sono una delle missions della Fondazione GAIA, ministerialmente riconosciuta, che sulla nutraceutica e sulla nutrigenomica (ossia la scienza volta a studiare le interazioni tra il nostro genoma con le sue “predisposizioni” e la nostra alimentazione ed eventuale supplementazione con nutraceutici) dedica da anni molte risorse. A questo scopo, collaborando con un gruppo americano di avanguardia, la Fondazione GAIA ha appena messo a punto un test di facile fruibilità, leader in Europa.



PER SAPERNE DI PIÙ



- Ascanio Polimeni e Vincent C. Giampapa: “Il fattore genetico”, Sperling & Kupfer.

- Paolo Marandola e Francesco Marotta: “Il Manifesto della Lunga Vita”, Sperling & Kupfer.

- Ascanio Polimeni e Ray Sahelian: “Pregnenolone: l’ormone che rallenta l’invecchiamento”, Tecniche Nuove.




«CON I GIUSTI ALIMENTI UNA VITA MIGLIORE»



È accertato da diversi studi internazionali (da quelli sui centenari sani di Okinawa a quelli sui centenari italiani) che poter contare su una adeguata armonia ormonale si traduce in una vita più longeva e qualitativamente più apprezzabile. È noto anche che l’ottimalità e la sincronia ormonale vengono influenzate da fattori ambientali (come l’inquinamento), legati allo stile di vita (alimentazione, attività fisica e sessuale, sonno, controllo dello stress). «L’alimentazione», spiega il professor Ascanio Polimeni, «influenza la produzione degli ormoni. Ad esempio, una dieta ricca in proteine magre e verdure, povera di alcol, zuccheri, caffé e carboidrati raffinati, ottimizza il livello del Dhea’s (ormone precursore di estrogeni e testosterone, coinvolto nella reazione allo stress) e degli ormoni sessuali. Grazie a una dieta mirata - da compilare in base al quadro clinico e di laboratorio (test ormonali del sangue, saliva e urine) - è possibile favorire la produzione di ormoni che risultano carenti. Se poi si vanno a migliorare altri parametri legati allo stile di vita, l’assunzione di integratori per stimolare le attività ghiandolari e la somministrazione di dosi fisiologiche di ormoni bioidentici contribuiranno in maniera decisiva al riequilibrio ormonale, soprattutto in quei soggetti più anziani in cui le ghiandole tendono ad atrofizzarsi». Per conservare nel tempo un adeguato equilibrio ormonale, bisognerebbe sin dalla giovinezza seguire alcune regole di alimentazione e di stile di vita. Una dieta personalizzata in base alle proprie necessità ormonali o, per esempio, al proprio assetto genetico, andrebbe seguita a lungo e con una certa regolarità.



I PIÙ IMPORTANTI


Carnitina

Presente nelle carni rosse o nei derivati (organi interni), ha un ruolo fondamentale nel metabolismo dei grassi e favorisce sia la resistenza alla fatica sia il recupero delle forze.


Glucosamina/Condroitina

Si trova prevalentemente nelle cartilagini e nei tendini. Combatte l’artrosi ed è impiegata contro la degenerazione delle cartilagini articolari.


Octacosanolo

Ne sono ricchi l’olio di germe di grano e lo strato esterno delle foglie e dei frutti di svariate piante. Utile l’impiego nelle patologie legate all’ipercolesterolemia; è un coadiuvante nella prevenzione di trombosi.


Proantoclanidina (PAC)


Presente in lamponi, uva, mele, mirtilli, vino rosso. Aiuta a neutralizzare i radicali liberi, è impiegato anche come dolcificante e calmante della tosse.


Licopene

Si trova in pomodori, angurie, pompelmi rosa, papaya. Ha un ruolo importante nella prevenzione dei tumori, in particolare quello della prostata. Oltre a prevenire malattie cardiovascolari, mantiene capacità funzionali negli anziani.


Acido linolenico

Meglio conosciuto come Omega-3, ne sono ricchi l’olio di semi di lino e l’olio di pesce. Protegge cuore e coronarie. Curiosità: gli alchilgliceroli, estratti dall’olio di fegato di alcuni squali, oltre che anti-infiammatori sono immunostimolanti.


Melatonina

È un ormone secreto dalla ghiandola pineale, ha la funzione di regolare i cicli del sonno. È utilizzata per combattere l’insonnia e la sindrome da fuso orario (jet lag).

Luteina

Presente in frutta, spinaci, broccoli, piselli, cavoli e nell’uovo, se ne raccomanda un’assunzione di 6 mg/die. È concentrata nella parte centrale della retina dell’occhio umano. Ha un ruolo cruciale nell’occhio a difesa della retina.

Curcumina

È nel pigmento giallo dello zafferano e del curry. Efficace nelle alterazioni infiammatorie della retina nell’anziano. Ha capacità di neuroprotezione antiossidanti ed antiinfiammatorie. Da poco c’è una curcumina ad elevatissimo assorbimento.


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14 Aprile 2009